In questa sezione verranno trattati temi inerenti sia alla Neurochirurgia che alla Medicina generale.
Di seguito trovate gli approfondimenti per quanto riguarda le principali patologie che trattiamo presso le Unità Operative di Neurochirurgia dell'Ospedale Meyer di Firenze e del Policlinico "Le Scotte" di Siena


IDROCEFALO

CRANIOSTENOSI

DISRAFISMI SPINALI

TUMORI CEREBRALI

TUMORI SPINALI

TRAUMI CRANICI E VERTEBRALI

PATOLOGIA VASCOLARE

CISTI ARACNOIDEE

EPILESSIA

CHIARI, SIRINGOMIELIA E SEZIONE DEL FILUM




lunedì 22 dicembre 2008

Ipertensione Arteriosa (2°)

Nel precedente post abbiamo illustrato cos'è l'ipertensione arteriosa e la distinzione in ipertensione arteriosa essenziale (quando non si identifica una causa) ed ipertensione arteriosa secondaria quando cioè l'aumento dei valori pressori è determinata da una patologia ben definita.
Analizziamo oggi l'ipertensione secondaria.
Occorre sempre sospettare un'ipertensione secondaria in caso di comparsa in età precoce e in assenza di familiarità o nel caso di un'ipertensione refrattaria alla terapia medica. In questi casi occorre attivare tutte le indagini necessarie per individuare la causa dell'ipertensione.
Le principali cause di ipertensione arteriosa vengono distinte in renale, endocrina e vascolare. Inoltre è possibile avere ipertensione in gravidanza, in seguito a stress acuto o per l'assunzione di farmaci (contraccettivi orali, decongestionanti nasali, cortisone, antiinfiammatori, antidepressivi triciclici), alcool o stupefacenti.

Cause renali
L'ipertensione può essere causata da malattie che interessano il rene e si parla quindi di ipertensione nefroparenchimale. Tali patologie possono essere la glomerulonefrite acuta e cronica, il rene policistico, la nefropatia diabetica, l'idronefrosi). Oppure da alterazioni che riguardano i vasi renali (ipertensione nefrovascolare) come la stenosi dell'arteria renale e la vasculite renale.
L'ipertensione nefroparenchimale è legata a malattie che alterano la funzione renale configurando quadri diversi di insufficienza renale che può essere lieve in fase iniziale fino a totale in fase avanzata che costringe il paziente a sedute periodiche di dialisi.
In queste forme il rene causa l'ipertensione e l'ipertensione aggrava il danno renale creando così un circolo vizioso.
Il trattamento di questo tipo di ipertensione dipende da diversi fattori. In un paziente anziano con danno renale avanzato occorre soprattutto mantenere normali i livelli della pressione arteriosa per proteggere gli altri organi e per consentire al malato stesso di affrontare in migliori condizioni la terapia dialitica.
In un soggetto giovane, con danno renale iniziale, si cercherà soprattutto di controllare la patologia del rene per rallentarne la progressione.
L'ipertensione nefrovascolare è una forma di ipertensione potenzialmente guaribile. E' causata da un restringimento di una o entrambe le arterie renali. Le cause principali della stenosi dell'arteria renale sono l'aterosclerosi (90%), di solito in uomini di più di 50 anni, fumatori, e la displasia fibromuscolare che si può riscontrare in donne tra i 15 e i 50 anni.
La diagnosi deve essere precoce perchè l'ipertensione provoca danni renali causando peggiorando quindi l'ipertensione stessa potendo arrivare all'insufficienza renale. Quindi l'ipertensione da nefrovascolare diventa nefroparenchimale.
Nel sospetto di ipertensione nefrovascolare si può richiedere un'ecografia renale. Un rene piccolo può essere indicativo di ipertensione nefrovascolare. Può essere utile un EcoDoppler però non sempre è possibile visualizzare le arterie renali. Esistono poi una serie di esami altamente specialistici come il dosaggio di sostanze prodotte dal rene, scintigrafia renale, Angio-RM, TAC, arteriografia. La terapia di questa forma di ipertensione può essere effettuata con farmaci, o con rivascolarizzazione chirurgica oppure con angioplastica renale percutanea che consiste nell'introdurre un palloncino nell'arteria renale che viene gonfiato dilatando l'arteria stessa.

Le forme endocrine sono legate a patologie delle ghiandole endocrine come l'acromegalia (causata da un aumento dell'ormone della crescita), alterazioni della tiroide o malattie delle ghiandole surrenali (iperaldosteronismo o feocromocirtoma).
Nell'iperaldosteronismo le ghiandole surrenali producono una maggiore quantità di aldosterone che è un ormone che controlla l'equilibrio idroelettrolitico. L'aldosterone determina un aumento di riassorbimento del sodio a livello renale ed una aumento dell'assorbimento di acqua con aumento della massa ematica circolante e quindi ipertensione. In genere può essere sospettato se agli esami di laboratorio si riscontra una diminuzione di potassio ed un aumento di sodio.
Il feocromocitoma è tumore delle ghiandole surrenali. Tale tumore aumenta la produzione di adrenalina da parte delle ghiandole stesse. In genere si cerificano crisi ipertensive con tachicardia, sudorazione vampate di calore e tremori.
Quando non vi sono queste crisi la pressione arteriosa può anche essere normale.
Il trattamento di solito è chirurgico con asportazione del tumore.

La forma di ipertensione arteriosa vascolare più frequente è qualla data dalla coartazione aortica cioè un restringimento con ostacolo al flusso sanguigno. Generalmente si tratta di soggetti giovani che presentano cefalea, pulsazioni al collo, soffi. Caratteristica di solito è l'aumento della pressione a livello delle braccia mentre è normale o bassa a livello delle gambe. Nel caso di sospetto di coartazione aortica occorre praticare un EcoDoppler, TAC, Risonanza Magnatica, Angiografia. Il trattamento è chirurgico.

In conclusione possiamo dire che in caso di ipertensione arteriosa vanno sempre escluse possibili cause. Solo così si può parlare di ipertensione essenziale che richiede solo un tratamento con farmaci. Di solito bastano semplici esami di laboratorio per escludere altre possibili patologie responsabili dell'ipertensione.
In presenza di un soggetto giovane con ipertensione è opportuno approfondire gli accertamenti poichè nella maggior parte dei casi i giovani possono essere affetti da forme di ipertensione secondaria.

domenica 21 dicembre 2008

Ipertensione Arteriosa (1°)

Con il termine di ipertensione arteriosa si intende un aumento della pressione arteriosa che rappresenta la forza con cui circola il sangue.
Essa è legata alla spinta che il sangue riceve dal cuore. Si distingue una pressione massima o sistolica che è la pressione sanguigna nel momento della sistole cardiaca cioè quando il cuore spinge il sangue nelle arterie, ed una pressione minima o diastolica che rappresenta la pressione del sangue nel momento della diastole cardiaca cioè quando il cuore si riempie di sangue e non effettua nessuna spinta.
La pressione arteriosa tende a variare con l'età, nel corso della giornata e può aumentare in caso di sollecitazioni fisiche ed emotive.

Generalmente si considera normale una pressione arteriosa con valori inferiori a 140/90. Si parla di ipertensione lieve per valori compresi tra 140-159/90-99, di ipertensione moderata con valori tra 160-179/100-109 ed ipertensione grave per valori superiori a 180/110.
Occorre considerare che anche il solo aumento della pressione minima configura un quadro di ipertensione.
Già in presenza di valori della pressione minima tra 85-110 si parla di ipertensione leggera e grave quando la minima supera i 110 mmHg.

L'ipertensione arteriosa viene distinta in due categorie:
l'ipertensione arteriosa essenziale e l'ipertensione arteriosa secondaria.

Qundo vi sono malattie specifiche responsabili degli aumenti pressori si parla di ipertensione secondaria. In tutti i casi in cui non è possibile identificare la causa dell'ipertensione si parla di ipertensione essenziale.
Le cause dell'ipertensione secondaria saranno affrontate in un successivo articolo.

Generalmente l'ipertensione non da sintomi. In caso di valori elevati possono però comparire cefalea, ronzii alle orecchie, vertigini, perdita di sangue dal naso.

Sarebbe comunque buona regola controllare la pressione arteriosa periodicamente poichè potrebbe instaurarsi un'ipertensione senza che il soggetto abbia problemi.

E' opportuno considerare che nel sospetto di un'ipertensione arteriosa una prima misurazione va effettuata in condizioni idonee. Il soggetto deve stare rilassato e tranquillo. Sarebbe utile misurare la pressione in posizione seduta e in piedi ed inoltre effettuare almeno tre misurazioni a distanza di qualche minuto l'uno dall'altra. Potrebbe anche essere utile misurare la pressione a livello di entrambe le braccia.
In caso di dubbio si può effettuare una misurazione continua della pressione arteriosa per 24-48 ore mediante apparacchi tascabili (Holter pressorio) che danno un'informazione precisa sull'andamento della pressione arteriosa nel corso della giornata e in associazione con le diverse attività dell'individuo.

Le complicanze dell'ipertensione arteriosa sono molto serie poichè può causare grave danni ad organi vitali: cuore, cervello, retina, reni, vasi arteriosi.
Il cuore può andare incontro ad ipertrofia cioè aumenta la massa cardiaca con aumento del rischio di ischemia. Si possono verificare alterazioni del ritmo, dolori al petto (espressioni transitora riduzione del flusso di sangue al cuore stesso) sino a giungere ad una condizione di insufficienza cardiaca.
Le alterazioni cerebrali sono legate al danno della circolazione encefalica che può manifestarsi con quadri acuti come l'ictus o una lenta perdita di alcune funzioni come la memoria, l'attenzione, l'orientamento temporo-spaziale.
I danni retinici sono ovuti ad un progressivo restringimento arteriolare con aree ischemiche e progressiva diminuzione della vista.
Sul rene l'ipertensione arteriosa provoca una progressiva diminuzione della funzionalità fino all'insufficienza renale.
A carico delle arterie di un soggetto iperteso si determinano nel tempo aterosclerosi e microaneurismi.

Una volta accertata l'ipertensione arteriosa è opportuno anche effettuara degli esami di laboratorio per poter escludere un'ipertensione secondaria cioè legata ad altre malattie.

Esami di laboratorio essenziali o raccomandati
  • Creatininemia: da preferirsi all’azotemia per valutare la funzione renale.
  • Potassiemia: l’ipopotassemia fa sospettare un’ipertensione da mineralcorticoidi (ormoni che regolano l'equilibrio idro-elettrolitico), e permette di valutare gli effetti della terapia diuretica. L’iperpotassiemia è indice di insufficienza renale.
  • Glicemia: a digiuno (ed eventualmente due ore dopo il pasto); segnala il fattore di rischio diabete.
  • Colesterolemia: un’ipercolesterolemia segnala un altro importante fattore di rischio cardiovascolare.
  • Emoglobina: l’anemia può essere indice di insufficienza renale.
  • Ematocrito: suggerisce variazioni del volume plasmatico.
  • Elettrocardiogramma: criteri di ipertrofia e sovraccarico ventricolare sinistro, ipertrofia atriale sinistra; infarto miocardico ed angina pectoris.
  • Radiogramma del torace: profilo cardiaco, dimensioni dell’aorta.
Escluse altre possibili cause si parla quindi di ipertensione arteriosa essenziale. I farmaci utilizzati appartengono a diverse classi che comprendono:
  • I diuretici che aumentano la diuresi e riducono quindi il contenuto liquido nei vasi
  • I beta-bloccanti che agiscono diminuendo la freuenza cardiaca e la forza di contrazione del cuore
  • I calcioantagonisti che determinano vasodilatazione
  • Gli ace-inibitori che intervengono sui meccanismi renali della regolazione della pressione arteriosa
  • Gli alfa-bloccanti che producono vasodilatazione
Questi in genere sono i farmaci più utilizzati. Si comincia con un solo farmaco e se è necessario si aggiungono altri.
In associazione alla terapia farmacologica può essere d’aiuto un trattamento non farmacologico che può rappresentare l’unico provvedimento necessario a normalizzare i valori pressori nei soggetti con ipertensione lieve (pressione diastolica ripetutamente tra 90 e 95 mmHg).
  • Riduzione del peso corporeo: nei soggetti in sovrappeso.
  • Modificazione della dieta: riduzione del sale, dieta ricca di olio di pesce, incremento dietetico del rapporto grassi polinsaturi/saturi.
  • Abolizione di alcool e fumo.
  • Esercizio fisico regolare.

mercoledì 17 dicembre 2008

Tutela della Salute della Donna

L'Istituto Superiore di Sanità ha promosso il Progetto Nazionale sulla Medicina di Genere con lo scopo di valutare quali sono le patologie più frequenti nella donna e come attuare un programma di prevenzione.

Vi riporto l'articolo di Mirella Taranto dell'Istituto Superiore di Sanità

"Il Progetto «La Medicina di Genere come Obiettivo Strategico per la Sanità Pubblica: l‘Appropriatezza della Cura per la Tutela della Salute della Donna» nasce grazie ai fondi della Ricerca Finalizzata del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali pari a 2,7 milioni di euro. Integra le conoscenze biomediche sulle malattie metaboliche (diabete, aterosclerosi ecc), sulla medicina del lavoro, sulle reazioni avverse ai farmaci, che sono più frequenti e gravi nella donna, con quelle sociali ed economiche per arrivare a programmi di prevenzione e a linee guida genere-mirate.

Partecipano al progetto tre Regioni, di cui due come capofila (Sardegna, Sicilia) e una unità della Regione Toscana, l’ISPESL-Roma, un’unità dell’Agenzia Servizi Sanitari Regionali, Roma; 2 IRCCS (Istituto Dermatologico San Gallicano-I.F.O. IRCCS-Roma, IRCCS San Raffaele Pisana-Roma), un Consorzio Interuniversitario -INBB, 8 Università degli Studi (Cagliari, Firenze, Messina, Modena, Piemonte Orientale-Novara, Roma- La Sapienza, Roma Tor Vergata, Sassari).

Nello specifico, i settori di studio sono:

Malattie metaboliche e salute della donna: studi patogenetici e approcci terapeutici innovativi (ISS- responsabile S. Vella)

Ormoni sessuali come determinanti "di genere" nella risposta immune e nello sviluppo di malattie autoimmuni e metaboliche (istituto Dermatologico San Gallicano-I.F.O.- IRCCS-responsabile M. Picardo)

Interferenti endocrini negli ambienti di lavoro e salute della donna (Ispesl-responsabile A. Pera)

Malattie iatrogene e reazioni avverse ai farmaci (Regione Sicilia- responabile A. De Sarro)

Determinanti della salute della donna, medicina preventiva e qualità delle cure (Regione Sardegna- responsabile F. Franconi)

Alcuni dati

Le donne vivono più a lungo, ma si ammalano di più ed usano di più i servizi sanitari (è il cosiddetto "paradosso donna"). Ad esempio, secondo dati ISTAT del 2007, il 6% soffre di disabilità che investono le loro funzioni quotidiane (vista, udito, movimento) contro il 3% degli uomini. Di osteoporosi soffre il 9% delle donne contro appena l’1% degli uomini; di depressione il 7.4% contro il corrispettivo maschile del 3%. Sono sottopeso sono il 5.8% delle donne contro lo 0.9% degli uomini.

In tema di fruizione dei servizi sanitari, sempre l’ISTAT attesta che il 18% delle donne contro il 14% degli uomini si sottopone a visite generiche; il 16% a visite specialistiche contro il 12.4% degli uomini e che ben il 50.7% delle donne consuma farmaci contro una percentuale maschile del 39.5%.

Il diabete mellito, malattia cronica che affligge il 5-6% della popolazione, colpisce nel nostro Paese soprattutto le donne anziane (oltre i 75 anni) del Mezzogiorno ( 5,2%), seguite da quelle del Centro (4,5%) e del Nord ( 3,9%). Questa malattia elimina purtroppo la protezione conferita alle donne rispetto al rischio di patologie cardiovascolari e in effetti le diabetiche muoiono di più degli uomini diabetici di malattie cardiovascolari (2,2 volte verso 1,7 degli uomini). Negli ultimi anni, per di più, si è osservata una riduzione di mortalità nei maschi ma non nelle femmine.

Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile: in Italia, ad esempio, 250.000 donne soffrono di artrite reumatoide; l’asma bronchiale, nella fascia di età 2-5 anni, è più frequente nei maschi (2:1 rispetto alle femmine) per avere un brusco cambio di tendenza dopo 20 anni. Segno evidente che esistono differenze tra il sistema immunitario maschile e femminile."

Nelle successive tabelle sono riassunte le principali differenze che si riscontrano nei due sessi riguardo le patologie e i trattamenti.

TABELLA 1 : Alcune Morbilità
Donne Uomini
Disabilità (confinate a letto) 10,9% 5,6%

Altre disabilità (funzioni quotidiane, movimento,
vista, udito, parola) 6,1% 3,3%

Tassi di multicronicità 17,2% 10,3%

Artrosi/artrite 21,8% 14,6%

Osteoporosi 9,2% 1,1%

Cefalea 10.5% 11,8%

Ipertensione arteriosa 15,4% 11,8%

Diabete 4,7% 4,3%

Depressione e ansia 7,4% 3,1%

Alzheimer-demenze senili 0,6% 0,3%


TABELLA 2: Fattori di rischio
Donne Uomini
Soprappeso 26,6% 42,5%

Sottopeso 5,8% 0,9%

Fumo 16,3% 27,5%


TABELLA 3: FRUIZIONE DEI SERVIZI SANITARI
Donne Uomini
Visite generiche 18,2% 13,8%

Visite specialistiche 16,1% 12,4%

Visite a pagamento 59,0% 54,9%

Accertamenti diagnostici 12,8% 10,8%

Consumo di farmaci 50,7% 39,5%

Ricoveri ospedalieri Non differente Non differente

Servizi di riabilitazione 4,1% 3,1%

Vaccinazione antinfluenzale 21,5% 18,8%

Vi riporto inoltre alcuni brani di un'articolo di Maria Grazia Modena e Annachiara Nuzzo (Istituto di Cardiologia, Università di Modena e Reggio Emilia; Azienda Policlinico, Modena) in cui si evidenzia un aumento delle patologie cardiovascolari nelle donne e una sottostima del rischio stesso nel sesso femminile.

"Manca, a tutt’oggi, un’attenzione sull’impatto che le differenze di genere hanno sulla fisiopatologia e, quindi, sul trattamento delle più comuni malattie sociali, tra cui le malattie
cardiovascolari. Per tali motivi, l’aspetto preoccupante che deve, a nostro parere, indurre a meditazione non solo la classe cardiologica ma anche il Medico di Medicina Generale (MMG), è
il crescente numero di segnalazioni in letteratura riguardanti la generale sottostima della cardiopatia ischemica (CI) nella donna. Infatti, nei confronti di tale malattia l’attenzione è costantemente effettuata in uno stadio troppo avanzato, oppure il trattamento risulta meno aggressivo rispetto a quello riservato al paziente uomo. Secondo stime recenti, la CI uccide più di 500.000 donne americane nell’arco di un anno, pari al 41,3% delle morti complessive del sesso femminile, una percentuale che supera le morti di cancro (Fig. 1). In Italia (Fig. 2), le donne che ogni anno muoiono a causa di malattie cardiovascolari sono circa 120.000. Nonostante questa
evidenza, si tende ancora a considerare tale condizione specifica del sesso maschile. Per molti anni, infatti, lo studio della malattia coronarica e dei suoi fattori di rischio ha interessato prevalentemente gli uomini, data la maggiore frequenza della malattia in età media, la comparsa
in età più giovane rispetto alla donna e l’elevata letalità.
Fino alla menopausa la frequenza della malattia e i livelli dei fattori di rischio sono più bassi rispetto agli uomini; con l’avanzare dell’età le differenze si riducono e i valori risultano simili o diventano più elevati rispetto a quelli riscontrati negli uomini. La sostanziale sottostima del problema ha suggerito l’osservazione paradossale che “forse il più importante fattore di rischio di cardiopatia ischemica nelle donne è la percezione sbagliata che la cardiopatia ischemica non sia una malattia delle donne”.
"Studi anatomo-patologici dimostrano come, nell’uomo, le placche sulle pareti arteriose inizino a comparire intorno all’età di 30 anni, aumentino in maniera proporzionale al livello sierico di colesterolo, alla pressione arteriosa, all’obesità e al numero di sigarette fumate, e raggiungano
la “criticità” in un periodo che può andare dai 40 ai 70 anni (storia naturale della CI nell’uomo). Nelle donne, invece, il periodo fertile (ricco in estrogeni) posticipa la data di comparsa delle placche, indotte poi dagli stessi fattori di rischio, ma la criticità viene raggiunta all’età di
65-80 anni (15-20 anni dopo rispetto all’uomo)."
"Esistono tuttavia alcune sottili differenze che riguardano ipertensione, diabete, attività fisica, colesterolo HDL (lipoproteine ad alta densità) e trigliceridi, la percezione di malattia e le condizioni psico-sociali. Ci sono, ovviamente, sicure differenze per quanto riguarda
l’evento menopausa e il suo antidoto unico e peculiare, la terapia estrogenica sostitutiva."
"Nell’ambito di una corretta prevenzione primaria (obiettivo auspicabile da parte dei MMG), è estremamente importante raccomandare alle donne, soprattutto in post-menopausa, un controllo seriato della pressione arteriosa e, in caso di riscontro di elevati valori pressori, controlli ripetuti, modifica dello stile di vita e un intervento farmacologico mirato, anche se su questo non esistono orientamenti omogenei perché non ci sono molti studi che abbiano coinvolto le donne.
Il fumo è la causa principale prevenibile di morte per le donne: più del 50% di infarti miocardici erano associabili all’uso di tabacco nella casistica di Kawachi et al. e la grandezza dell’eccesso di rischio, da 2 a 4 volte più elevato, è simile negli uomini e nelle donne, con una chiara relazione dose-risposta, perché anche le “piccole” fumatrici (da 1 a 4 sigarette al giorno) hanno un
rischio superiore al doppio di sviluppare malattia coronarica rispetto alle donne che non fumano.
Un altro fattore importante, che in realtà si presenta come una raccolta o un cluster dei più importanti fattori di rischio, è la sindrome metabolica. Protagonista principale di questa sindrome è l’insulino-resistenza, una condizione caratterizzata dalla contemporanea presenza, nello stesso soggetto, di alcuni disordini metabolici, che nei vari studi epidemiologici risulta associata a un aumento di circa tre volte del rischio di sviluppare eventi cardiovascolari e di circa sei volte di sviluppare diabete."

TABELLA I
Interventi sullo stile di vita.

Fumo di sigaretta: tutte le donne dovrebbero evitare il fumo di sigaretta anche attraverso programmi riabilitativi o farmacologici di cessazione dal vizio tabagico (class I, level B).

Attività fisica: ogni donna dovrebbe eseguire un programma minimo di 30 minuti di attività fisica moderata (camminare svelto) al giorno (class I, level B). Per le donne che hanno bisogno di ridurre il loro peso corporeo l’attività fisica moderata dovrebbe essere di 60-90 minuti al giorno (class I, level C).

Riabilitazione: dopo un recente ricovero per sindrome coronarica o un intervento cardiochirurgico, un evento cerebrovascolare (class I, level A) o insufficienza cardiaca con frazione di eiezione (EF) < 40% (class I, level B), tutte le donne
hanno bisogno di un periodo in ambiente riabilitativo.

Dieta: tutte le donne dovrebbero seguire una dieta ricca di frutta, verdure, fibre e pesce almeno due volte a settimana. L’introito di grassi saturi deve essere < 10% (se possibile < 7%), il colesterolo < 300 mg/die, il consumo di sale < 2,3 g/die, l’alcol limitato a non più di un drink al giorno (class I, level B).

Peso corporeo: ogni donna dovrebbe mantenere un peso corporeo idoneo attraverso il corretto introito di calorie, moderata attività fisica in modo da raggiungere un indice di massa corporea (BMI) compreso tra 18,5 e 24,9 (class I, level B).

Acidi grassi omega-3: aggiunti alla dieta al dosaggio di 850-1000 mg al giorno, possono essere considerati, in donne cardiopatiche al dosaggio massimo di 2-4 g/die, per il trattamento dell’ipertrigliceridemia (class IIB, level B).

Depressione: valutare la presenza di tale patologia in tutte le donne con diagnosi di cardiopatia e iniziare un trattamento specifico (class IIA, level B).

(da Mosca et al., mod.).

L'articolo vuole porre l'accento soprattutto sul fatto che il rischio cardiovascolare esiste anche nelle donne. Forse in passato si è ritenuto che le donne fossero in qualche modo più protette da queste patologie. Delle differenze esistono però è opportuno che il discorso prevenzione sia affrontato allo stesso modo di quello per gli uomini.
Il messaggio importante è che le malattie cardiovascolari possono essere evitate sia nelle donne sia negli uomini.
Così la consapevolezza del rischio cardiovascolare e di altre patologie, come visto nell'articolo di Mirella Taranto, nella donna, come nell’uomo, potrà automaticamente essere associato a importanti azioni di prevenzione. Tutto per cercare di evitare, in futuro, il crescente trend di aumentata mortalità per cause cardiovascolari e di incidenza di altre patologie tra le donne di tutto il mondo.

martedì 16 dicembre 2008

Cefalea

La cefalea è un disturbo doloroso a carico della testa e rappresenta la più comune sindrome dolorosa (“mal di testa”).

Le cefalee vengono distinte in primitive e secondarie. Nelle cefalee primitive non vi è una patologia sottostante.

Le cefalee vengono definite secondarie quando invece rappresentano la manifestazione di un altro problema. Possono quindi essere:

* Post-traumatiche
* Vascolari
* Infiammatorie
* Infettive
* Tumorali
* Da ipertensione endocranica
* Da ipotensione endocranica

Analizziamo in maniera più dettagliata le forme primitive.
In tale categoria rientrano l’emicrania, l’emicrania cronica parossistica, la cefalea a grappolo, la cefalea tensiva, l’emicrania oftalmoplegica.
Tali tipi di cefalee sono anche denominate vasomotorie poiché in genere il meccanismo di base è legato ad una vasodilatazione delle principali arterie extracraniche (come l’arteria temporale che decorre davanti all’orecchio).

L’emicrania è un tipo di cefalea che colpisce una metà del cranio ed è caratterizzata da un intenso dolore pulsante. È ereditaria ed interessa prevalentemente le donne.
L’attacco emicranico può in alcuni casi essere preceduto da manifestazioni che costituiscono l’aura emicranica. Tali sintomi possono essere disturbi della vista o formicolii agli arti.
Nelle forme senza aura il dolore comincia senza preavviso.
L’attacco emicranico può avere una durata variabile da 3 a 70 ore a cui si associano sintomi cosiddetti vegetativi come nausea, vomito, fotofobia (il soggetto deve restare al buio poiché la luce accentua il dolore) e fastidio per i suoni.

Nell’emicrania parossistica, anch’essa a prevalenza femminile, gli attacchi sono in genere di breve durata ma possono ripetersi più volte nel corso della giornata.

La cefalea a grappolo è estremamente dolorosa. Si manifesta a fasi. Periodi attivi (grappoli) si alternano a periodi di remissione. Da qui il termine di cefalea a grappolo.
Colpisce soprattutto gli uomini oltre i 40 anni ed è caratterizzata da dolore intenso, bruciante, localizzato nella zona orbitale con lacrimazione, sensibilità alla luce, congestione nasale. Il dolore viene definito come “una pugnalata nell’occhio”. Possono anche essere presenti sudorazione frontale, arrossamento. Il soggetto durante l’attacco non riesce a stare fermo, si contorce. Può anche verificarsi di notte provocando l’improvviso risveglio del paziente.
Mentre nell’emicrania il soggetto trova un certo sollievo disteso a letto al buio, nella cefalea a grappolo spesso la posizione distesa risulta impossibile.

La cefalea tensiva è causata dalla contrazione dei muscoli del collo ed è generalmente associata a stress, tensione o stato ansioso. Il dolore è continuo e non pulsante come nell’emicrania e può interessare tutto il capo. Viene spesso descritto come un casco che stringe la testa.

L'emicrania oftalmoplegica è una forma rara. Si manifesta in genere una volta l'anno e può durare 3-4 giorni. Il dolore è pulsante e può colpire entrambi i lati della testa. Possono essere presenti nausea ed oftalmoplegia (cioè paralisi dei muscoli oculari con conseguente visione sdoppiata).

La diagnosi si basa essenzialmente sulle caratteristiche cliniche. In alcuni casi possono essere richiesti un Elettroencefalogramma (esistono infatti forme di emicrania-epilessia), una Risonanza Magnetica dell’encefalo (per escludere la presenza di lesioni tumorali o non) ed esami ematici per escludere forme infiammatorie come le arteriti.

In queste forme di cefalea cosiddette vasomotorie è in genere controindicata l’assunzione di farmaci antinfiammatori (aspirina, nimesulide, ibuprofen, ecc.) perché anche se attenuano il dolore hanno la tendenza a cronicizzare la cefalea.

In genere il principio del trattamento delle emicranie è di tipo preventivo. Cioè si prescrivono farmaci da assumere per un certo periodo di tempo (anche 6 mesi o più) con la progressiva riduzione dell’intensità e della frequenza delle crisi fino anche ad ottenere la scomparsa.

I pazienti che cominciano il trattamento preventivo non devono assumere antiinfiammatori. Durante gli attacchi di emicrania è possibile somministrare dei farmaci che contengono un derivato della caffeina da prendere nel momento in cui sta per cominciare l’attacco.
Nel caso della cefalea a grappolo il soggetto può trovare giovamento con l’inalazione di ossigeno puro per 10-15 minuti.

I principali farmaci utilizzati nel trattamento preventivo sono i betabloccanti e l’ergotamina. Vi sono comunque anche altre classi di farmaci che si possono utilizzare a secondo del giudizio del neurologo.
Un aspetto fondamentale da tenere presente per liberarsi definitivamente da tale sofferenza è la precisa e corretta assunzione della terapia tenendo presente che il trattamento può durare anche mesi. Quindi occorre una forte determinazione e decisione.
Soprattutto nei primi tempi il soggetto può sentirsi scoraggiato perché, nonostante l’assunzione dei farmaci, gli attacchi continuano. Questo perché il trattamento agisce a lungo tempo riducendo gradatamente l’intensità e la frequenza degli episodi. Occorre poi grande capacità di sopportazione durante le crisi dolorose resistendo alla tentazione di prendere un antiinfiammatorio.

Seguendo in maniera precisa tutte le indicazioni è possibile liberarsi definitivamente dal problema. Sono infatti numerosi i casi di pazienti ormai liberi dall’emicrania.

lunedì 15 dicembre 2008

Omega-3

Cominciamo con un argomento alimentare. Gli omega-3.
Penso che tutti avrete sentito parlare di queste sostanze, ma probabilmente non molti sanno cosa sono in realtà
Gli omega-3 sono acidi grassi essenziali polinsaturi.
Questa è la definizione. Spieghiamo ora i vari aspetti.
Tutte le sostanze organiche, cioè che entrano nella costituzione del nostro organismo, sono costituite da atomi di Carbonio (C), Idrogeno (H) e Ossigeno (O) in diverse proporzioni fra loro.
Gli acidi grassi sono costituiti da lunghe catene di atomi di carbonio con una struttura generale di questo tipo -C-C-C-C-C-C-C-. Agli atomi di carbonio sono legati atomi di idrogeno ed ossigeno.
La lineetta tra gli atomi di carbonio indica il tipo di legame tra gli atomi stessi. Il legame può essere singolo come in questo caso o doppio -C-C=C-C=C-C-
Quando sono presenti questi doppi legami si parla di acido grasso insaturo. Negli acidi grassi polinsaturi vi sono più doppi legami.

Quindi gli omega-3 sono acidi grassi polinsaturi perchè sono costituiti da lunghe catene di atomi di carbonio e sono presenti più doppi legami.
Il termine omega-3 è legato al fatto che il primo doppio legame si trova sul terzo atomo di carbonio cominciando a contare dall'ultimo (omega).
Perchè questi acidi grassi sono importanti? Perchè sono essenziali cioè fondamentali per il corretto funzionamento del nostro organismo e perchè non possono essere sintetizzati da esso, per cui dobbiamo introdurli con l'alimentazione.
Gli omega-3 sono presenti in diversi tipi di pesce e nell'olio vegetale.
Precisamente in cosa consiste la loro importanza?
Uno studio condotto sugli eschimesi della Groenlandia ha mostrato una bassa incidenza di malattie cardiovascolari legata probabilmente all'elevato consume di pesce.
Gli omega-3 svolgono diverse funzioni tra cui un'azione protettive nei confronti di queste malattie perchè contribuiscono a "pulire" le arterie.
Parliamo un attimo del colesterolo. Il colesterolo è una molecola lipidica che svolge importanti funzioni. E' necessario però che i livelli di colesterolo nel sangue siano entro certi limiti perchè un eccesso predispone a patologie cardiovascolari.
Più che il valore totale del colesterolo è importante tenere sotto controllo le varie frazioni. Possiamo distinguere due forme principali (esistono anche altre): il colesterolo HDL (buono) e il colesterolo LDL (cattivo). Il valore normale nel sangue è considerato intorno ai 200 però è meglio avere un colesterolo a 240 con un buon livello di HDL che un colesterolo a 200 con un basso livello di HDL.
Ora vi spiego. Le LDL trasportano i lipidi nel sangue e li depositano negli organi e anche nelle pareti arteriose. L'eccesso a questo livello può provocare delle placche che possono alla fine ostruire un'arteria e quindi causare un infarto. Le HDL invece prelevano i lipidi dalle pareti arteriose e li trasportano al fegato. Quindi le "puliscono".
E' stato dimostrato che una corretta introduzione alimentare di omega-3 tende a mantenere un buon livello delle HDL che hanno una funzione ptotettiva.
Quindi è importante aumentare il consumo di pesce ad almeno 2-3 volte la settimana.
Come abbiamo detto gli omega-3 sono acidi grassi polinsaturi mentre i grassi di origine animale sono saturi. Anche i grassi e gli oli vegetali che vengono aggiunti ai prodotti industriali contengono molti grassi saturi. Infatti possono essere costituiti da composti ottenuti da olio di palma o di cocco che contengono una grossa quantità di grassi saturi.
E' calcolato che l'introduzione di acidi grassi saturi non deve superare il 10%.
C'è anche un'altra sostanza che può contribuire ad aumentare il colesterolo buono (HDL): il vino, in particolare il vino rosso.
E qui si aprirà certamente una diatriba. Consiglio il vino? Un eccesso di alcool può infatti proteggere le arterie ma distrugge il fegato.
Però, mia opinione personale, un bicchiere di vino al giorno non credo che provochi chissà quali danni. Anzi può anche avere un piccolo effetto protettivo. Comunque non cercate di ridurre il colesterolo con il vino.
Quindi considerando che almeno il 10% di acidi grassi saturi dobbiamo introdurli e che un bicchiere di vino di buona qualità può avere anche un effetto protettivo ogni tanto concediamoci anche il piacere di una buona bistecca con pò di vino di ottima annata.
Mi aspetto la tempesta per queste mie parole. Nel frattempo vi auguro buon appetito.