In questa sezione verranno trattati temi inerenti sia alla Neurochirurgia che alla Medicina generale.
Di seguito trovate gli approfondimenti per quanto riguarda le principali patologie che trattiamo presso le Unità Operative di Neurochirurgia dell'Ospedale Meyer di Firenze e del Policlinico "Le Scotte" di Siena


IDROCEFALO

CRANIOSTENOSI

DISRAFISMI SPINALI

TUMORI CEREBRALI

TUMORI SPINALI

TRAUMI CRANICI E VERTEBRALI

PATOLOGIA VASCOLARE

CISTI ARACNOIDEE

EPILESSIA

CHIARI, SIRINGOMIELIA E SEZIONE DEL FILUM




giovedì 3 giugno 2010

Cefalea a Grappolo

La cefalea a grappolo (cluster headache CH), chiamata dagli autori francesi cefalea da suicidio, è stata descritta con una varietà di termini, tra cui cefalea parossistica notturna, nevralgia emicranica, cefalea istaminica (di Horton), emicrania rossa, eritromelalgia cefalica. La definizione di cefalea a grappolo ,coniata da Kunkle nel '52, è quella che ha prevalso.

Kunkle intendeva descrivere la caratteristica tendenza degli attacchi a raggrupparsi in un lasso di tempo ristretto (circa 6/12 settimane) che denominò "cluster period" cioè "grappolo". Gli attacchi  si raggruppano con andamento stagionale per quanto riguarda le fasi attive della malattia ("cluster periods") e con frequenza circadiana/ultradiana cioè più attacchi durante il giorno.

Generalmente essi si verificano nei primi mesi primaverili e autunnali ma anche in occasione di cambiamenti delle abitudini di vita. Gli attacchi inoltre si alternano nelle ventiquattrore: solitamente la durata è di circa 3 ore e possono ripresentarsi più volte nel corso della stessa giornata soprattutto nelle prime ore del pomeriggio e della notte. Circa la metà dei pazienti affetti da CH viene svegliato improvvisamente nella notte dall'insorgenza di un attacco doloroso.

L'International Headache Society (IHS) ha stabilito alcuni criteri: la frequenza di comparsa va da un attacco ogni 2 giorni a 8 attacchi al giorno. Essi durano da un minimo di 15 a un massimo di 180 minuti. I periodi ta maggior rischio sono quelli tra l'una e le tre del pomeriggio, intorno alle nove di sera e tra l'una e le due di notte.

La cefalea a grappolo è caratterizzata da una costante localizzazione monolaterale orbitaria; tende a recidivare ogni notte o diverse volte durante la notte e il giorno, per un periodo di 2-8 settimane, talvolta molto più lungo, seguito da una completa assenza di attacchi per diversi mesi o addirittura per diversi anni (da qui il termine "a grappolo").

mercoledì 12 maggio 2010

Nuovi Fattori di Rischio Cardiovascolare

L’aterosclerosi (ATS) rimane tuttora la principale responsabile dei decessi per cause cardiovascolari nei Paesi occidentali. Il Prof. Paolo Puddu, già Professore ordinario di Medicina Interna e Libero Docente di Biochimica e di Patologia Medica, Dipartimento di Medicina Interna e Cardioangiologia, Università degli Studi di Bologna, riporta un interessante studio che evidenzia il ruolo di altri fattori, accanto a quelli classici, nella genesi dell'ATS.

Il problema del rischio cardiovascolare è complesso: infatti le forme più comuni di aterosclerosi hanno una genesi multifattoriale e possono associrsi alla malattia fattori con una forte componente genetica.
In molti soggetti lo sviluppo della malattia correlata all’aterosclerosi è determinata dall’intreccio di fattori ambientali, metabolici e genetici. In alcuni casi la malattia può essere spiegata da un singolo gene maggiore, mentre in altri variazioni di diversi geni minori possono contribuire allo sviluppo dell’ATS.
I classici fattori di rischio dell’aterosclerosi sono il sovrappeso corporeo e l’obesità, l’ipertensione arteriosa, l’abitudine al fumo, il diabete mellito e la sindrome plurimetabolica (sindrome da insulino-resistenza o sindrome X), che spesso porta al diabete di tipo 2. Si aggiungono le seguenti alterazioni dei parametri lipidici: ipercolesterolemia (colesterolo totale > 200 mg/dL, colesterolo LDL > 135 mg/dL, colesterolo HDL < 35 mg/dL nei maschi o < 40 mg/dL nelle donne, rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL  > 5), ipertrigliceridemia (150-400 mg/dL), lipoproteina Lp(a) > 30 mg/dL.
La stima dei fattori tradizionali non è del tutto sufficiente per la valutazione del rischio globale.

Molti studi hanno dimostrato che diversi pazienti con malattia coronarica non presentano i fattori di rischio tradizionali e nel contempo è stato osservato che circa un quinto dei soggetti trattati con terapia ipocolesterolemizzante è andato comunque soggetto a eventi cardiovascolari clinici.

In questo contesto sono stati esaminati nuovi fattori.

mercoledì 28 aprile 2010

Aterosclerosi

L’aterosclerosi è una malattia infiammatoria cronica delle grandi e medie arterie che si instaura in seguito ad un danno del rivestimento vascolare interno a causa di diversi fattori.
Il termine aterosclerosi è stato prorposto da Marchand nel 1904 per mettere in evidenza la presenza dell’ateroma (dal greco athere, che significa “pappa”, ad indicare il materiale grasso, poltaceo, contenuto nelle placche). Le lesioni si evolvono con il tempo: iniziano nell’infanzia come strie lipidiche (a carattere reversibile) e tendono a divenire vere e proprie placche aterosclerotiche, che nelle fasi avanzate possono restringere (stenosi) il lume arterioso oppure ulcerarsi e complicarsi con una trombosi sovrapposta, che può portare ad un’occlusione dell’arteria.
Per arteriosclerosi s’intende invece un indurimento (sclerosi) della parete arteriosa che compare con il progredire dell’età.
La lesione caratteristica dell’aterosclerosi è l’ateroma o placca aterosclerotica, ossia un ispessimento dell’intima (lo strato più interno delle arterie, che è rivestito dall’endotelio ed è in diretto contatto con il sangue) delle arterie dovuto principalmente all’accumulo di materiale lipidico (grasso) e a proliferazione del tessuto connettivo.

mercoledì 18 marzo 2009

Diabete di tipo 2

Il diabete di tipo 2 è un disordine cronico caratterizzato da anomalie a carico del metabolismo dei carboidrati, delle proteine, dei grassi. Per il concetto di diabete e per i criteri diagnostici leggi l'articolo "Diabete di tipo 1".

L'incidenza del diabete tipo 2 è in continua crescita assumendo ovunque proporzioni epidemiche.
I motivi alla base di questo incremento sono da ricercarsi nei profondi cambiamenti dello stile di vita delle persone avvenuti negli ultimi decenni: in particolare, stile di vita sedentario, dieta ricca di grassi e povera di fibre, obesità costituiscono le cause principali.

Il diabete tipo 2 rappresenta il risultato di uno stato di insulino-resistenza a livello di tessuto muscolare e adiposo e della concomitante alterata secrezione di insulina. Queste concause portano all'aumento della glicemia.

Il diabete mellito tipo 2 rappresenta il disordine endocrino-metabolico più diffuso nel mondo: colpisce il 5-10% della popolazione dei Paesi industrializzati e rappresenta quasi il 90% di tutti i casi di diabete mellito.
Per il metabolismo degli zuccheri è importante l'insulina, un ormone prodotto dalle cellule beta del pancreas.

Nella patogenesi del diabete tipo 2 si riconoscono 3 alterazioni fondamentali: a) un difetto relativo di secrezione insulinica; b) uno stato di insulino-resistenza a livello del tessuto muscolare e adiposo; c) uno stato di insulino-resistenza a livello epatico.
L'obesità è un potentissimo moltiplicatore dell'insulino-resistenza.

Nelle fasi iniziali della malattia diabetica, in risposta allo stato di insulino-resistenza, un compensatorio aumento della secrezione insulinica da parte delle cellule beta del pancreas è in grado di mantenere nella norma i livelli circolanti di glicemia. Con il progredire della patologia, la secrezione pancreatica di insulina si riduce progressivamente, causando iperglicemia.
Non vi è dubbio alcuno che il sovrappeso e l'obesità rappresentano fattori determinanti per il rischio di diabte tipo 2.
Appare ovvia la funzione che dieta ed attività fisica devono svolgere nel piano terapeutico del paziente con diabete tipo 2.
L'esercizio fisico promuove la riduzione del peso corporeo, aumenta la sensibilità all'insulina e migliora le performances cardiovascolari giocando quindi un ruolo importante nel trattamento del diabete tipo 2.

Terapia farmacologica
Per quanto la terapia dietetica e comportamentale debbano rimanere alla base di ogni approccio terapeutico del paziente con diabete tipo 2, la stragrande maggioranza di questi pazienti richiede, prima o poi, un intervento farmacologico.
I farmaci utilizzati vengono distinti in secretagoghi (stimolano la secrezione di insulina), farmaci che ritardano l'assorbimento dei carboidrati (determinando quindi un minor aumento della glicemia post-prandiale) e farmaci "insulino-sensibilizzanti" (aumentano la sensibilità all'insulina dei tessuti periferici e del fegato).

Terapia insulinica
Per quanto raramente il paziente di tipo 2 presenti un deficit totale di secrezione insulinica, molto spesso occorre ricorrere alle somministrazioni di questo ormone soprattutto quando nè la dieta nè i farmaci riescono a normalizzare la glicemia.

Prevenzione del diabete tipo 2
Il rischio per diabete tipo 2 (DT2) aumenta con l'aumentare dell'età; inoltre esistono categorie a rischio aumentato e cioè i gemelli di pazienti con diabete tipo 2, i parenti di primo grado (fratelli e figli) di pazienti con DT2, le donne con diabete gestazionale, i soggetti obesi, tutti i soggeti con ridotta tolleranza ai carboidrati e i soggetti ipertesi.
Lo sviluppo della condizione di DT2 è un processo lento. In utero si ereditano i geni predisposti alla resistenza insulinica; segue un periodo in cui si sviluppa resistenza insulinica in cui lo stile di vita (scarsa attività fisica, cibi abbondanti e ricchi in grassi saturi) porta allo stato di ridotta tolleranza ai carboidrati; alla fine si sviluppa il diabete tipo 2.

Diversi studi hanno dimostrato l'efficacia di un intervento basato sulla dieta, sull'esercizio fisico o su entrambi nel ridurre l'incidenza di nuovi casi di DT2.
In particolare soggetti con casi di diabete in famiglia devono adottare da sempre uno stile di vita adeguato che comprenda una dieta bilanciata e senza eccessi ed adeguato esercizio fisico.

lunedì 9 febbraio 2009

Diabete di tipo 1

Diabete è un termine derivato dal greco diabanein, che significa passare attraverso, e identifica alcune malattie caratterizzate da poliuria (abbondante produzione di urina) e polidipsia (abbondante ingestione di acqua).
Esistono infatti due tipologia di diabete:

# Diabete mellito- le urine contengono grandi quantità di zuccheri; ne fanno parte:
* il diabete tipo 1, a patogenesi autoimmune
* il diabete tipo 2, familiare non autoimmune
# Diabete insipido - viene eliminate con le urine solo acqua, ma pochissimi sali.

Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue legata ad un'alterata funzione dell'insulina. Questo ormone, prodotto dal pancreas, determina l'ingresso del glucosio nelle cellule. L'alterazione di questo ormone nel diabete ha per conseguenza che il glucosio non può entrare nelle cellule e quindi si accumula nel sangue.

Si distinguono generalmente 3 forme di diabete: diabete tipo 1 o giovanile, diabete tipo 2, più tipico dell'adulto, e diabete gestazionale caratterizzato da incremento della glicemia che si verifica per la prima volta durante la gravidanza.

In questo articolo sarà descritto il diabete tipo 1.

Il diabete tipo 1 interessa il 10% delle persone con diabete e insorge nell'infanzia e nell'adolescenza. Questa forma di diabete è dovuta a carenza di insulina.
L'insulina viene prodotta dalle cellule beta del pancreas, le cosiddette isole pancreatiche da cui il termine "insulina" per indicare l'ormone che qui viene appunto prodotto. Il diabete tipo 1 è causato dalla distruzione di queste cellule per cui il pancreas non produce più insulina e quindi è necessario che essa venga iniettata ogni giorno e per tutta la vita.

La causa del diabete di tipo 1 è sconosciuta. In questi pazienti sono stati trovati anticorpi contro le cellule del pancreas che producono insulina.
Per questo motivo il diabete tipo 1 viene classificato tra le malattie cosiddette autoimmuni cioè dovute ad una rezione immunitaria diretta contro l'organismo stesso.

Il diabete di tipo 1 di solito si manifesta in maniera acuta, spesso in relazione ad un episodio febbrile, con sete (polidipsia), aumentata quantità di urine (poliuria), sensazione di stanchezza (astenia), perdita di peso, pelle secca, aumentata frequenza di infezioni.

Per fare diagnosi di diabete i criteri che si seguono sono i seguenti:

- sintomi di diabete (poliuria, polidipsia, perdita di peso) associati ad un valore di glicemia >= 200 mg/dl

oppure

- glicemia a digiuno >= 126 mg/dl

oppure

- glicemia >= 200 mg/fl durante una curva da carico che viene effettuata somministrando 75 g di glucosio.

Nel diabete di tipo 1 il deficit dell'insulina porta alla comparsa di iperglicemia a digiuno e postprandiale ma anche altre alterazioni molto importanti che riguardano il metabolismo dei grassi e delle proteine.
E' quindi necessaria la terapia insulinica sostitutiva per mantenere un profilo glicemico il più possibile normale.
La terapia insulinica multiniettiva prevede la somministrazione di boli di insulina ad azione rapida o ultrarapida ai pasti e la somministrazione di insulina ad azione intermedia-lenta.

Altre vie di somministrazione
Da alcuni anni si stanno studiando vie di somministrazione dell'insulina diverse da quella iniettiva come la via orale, nasale, sublinguale, inalatoria. La via più promettente sembra quella inalatoria. Per il paziente sarebbe notevolmente più semplice assumere l'insulina quindi senza dover praticare diverse iniezioni al giorno.
Esistono però alcuni problemi. Occorre usare una dose 10 volte maggiore quindi un maggior costo ed inoltre l'eventuale presenza di problemi respiratori potrebbe alterare l'assorbimento di insulina.

Il trattamento del diabete di tipo 1 prevede anche una dieta equilibrata ed anche attività fisica svolta con regolarità poichè il controllo del peso aiuta a ridurre la glicemia.

E' necessario inoltre che il paziente impari a misurare frequentemente la glicemia, a somministrasi l'insulina, ma anche ad aggiustare le dosi in base ai valori glicemici, al contenuto in carboidrati dei pasti, all'attività fisica.

C'è la possibilità di una cura definitiva per il diabete di tipo 1?
Sono ancora allo studio alcune soluzioni al momento non ancora praticabili. Esempi sono il pancreas artificiale, che però è ancora un oggetto ingombrante che limita notevolmente la vita del paziente, o il trapianto di pancreas. Vi sono alcuni centri che lo praticano però questi soggetti devono essere sottoposti ad una terapia immunosoppressiva per evitare il rigetto la quale predispone l'organismo ad infezioni. Quindi in genere si effettua in quei pazienti che necessitano anche di un altro trapianto come il rene.
Altra strada potrebbe essere il trapianto delle sole cellule che producono l'insulina, mentre una possibilità potrebbe essere offerta dall'ingegneria genetica. Cioè modificare il DNA di cellule prelevate dal paziente per ottenere la produzione di insulina.

Sono inoltre allo studio dei test per prevenire il diabete di tipo 1 con lo scopo di arrestare o ritardare la distruzione delle cellule beta del pancreas.

lunedì 22 dicembre 2008

Ipertensione Arteriosa (2°)

Nel precedente post abbiamo illustrato cos'è l'ipertensione arteriosa e la distinzione in ipertensione arteriosa essenziale (quando non si identifica una causa) ed ipertensione arteriosa secondaria quando cioè l'aumento dei valori pressori è determinata da una patologia ben definita.
Analizziamo oggi l'ipertensione secondaria.
Occorre sempre sospettare un'ipertensione secondaria in caso di comparsa in età precoce e in assenza di familiarità o nel caso di un'ipertensione refrattaria alla terapia medica. In questi casi occorre attivare tutte le indagini necessarie per individuare la causa dell'ipertensione.
Le principali cause di ipertensione arteriosa vengono distinte in renale, endocrina e vascolare. Inoltre è possibile avere ipertensione in gravidanza, in seguito a stress acuto o per l'assunzione di farmaci (contraccettivi orali, decongestionanti nasali, cortisone, antiinfiammatori, antidepressivi triciclici), alcool o stupefacenti.

Cause renali
L'ipertensione può essere causata da malattie che interessano il rene e si parla quindi di ipertensione nefroparenchimale. Tali patologie possono essere la glomerulonefrite acuta e cronica, il rene policistico, la nefropatia diabetica, l'idronefrosi). Oppure da alterazioni che riguardano i vasi renali (ipertensione nefrovascolare) come la stenosi dell'arteria renale e la vasculite renale.
L'ipertensione nefroparenchimale è legata a malattie che alterano la funzione renale configurando quadri diversi di insufficienza renale che può essere lieve in fase iniziale fino a totale in fase avanzata che costringe il paziente a sedute periodiche di dialisi.
In queste forme il rene causa l'ipertensione e l'ipertensione aggrava il danno renale creando così un circolo vizioso.
Il trattamento di questo tipo di ipertensione dipende da diversi fattori. In un paziente anziano con danno renale avanzato occorre soprattutto mantenere normali i livelli della pressione arteriosa per proteggere gli altri organi e per consentire al malato stesso di affrontare in migliori condizioni la terapia dialitica.
In un soggetto giovane, con danno renale iniziale, si cercherà soprattutto di controllare la patologia del rene per rallentarne la progressione.
L'ipertensione nefrovascolare è una forma di ipertensione potenzialmente guaribile. E' causata da un restringimento di una o entrambe le arterie renali. Le cause principali della stenosi dell'arteria renale sono l'aterosclerosi (90%), di solito in uomini di più di 50 anni, fumatori, e la displasia fibromuscolare che si può riscontrare in donne tra i 15 e i 50 anni.
La diagnosi deve essere precoce perchè l'ipertensione provoca danni renali causando peggiorando quindi l'ipertensione stessa potendo arrivare all'insufficienza renale. Quindi l'ipertensione da nefrovascolare diventa nefroparenchimale.
Nel sospetto di ipertensione nefrovascolare si può richiedere un'ecografia renale. Un rene piccolo può essere indicativo di ipertensione nefrovascolare. Può essere utile un EcoDoppler però non sempre è possibile visualizzare le arterie renali. Esistono poi una serie di esami altamente specialistici come il dosaggio di sostanze prodotte dal rene, scintigrafia renale, Angio-RM, TAC, arteriografia. La terapia di questa forma di ipertensione può essere effettuata con farmaci, o con rivascolarizzazione chirurgica oppure con angioplastica renale percutanea che consiste nell'introdurre un palloncino nell'arteria renale che viene gonfiato dilatando l'arteria stessa.

Le forme endocrine sono legate a patologie delle ghiandole endocrine come l'acromegalia (causata da un aumento dell'ormone della crescita), alterazioni della tiroide o malattie delle ghiandole surrenali (iperaldosteronismo o feocromocirtoma).
Nell'iperaldosteronismo le ghiandole surrenali producono una maggiore quantità di aldosterone che è un ormone che controlla l'equilibrio idroelettrolitico. L'aldosterone determina un aumento di riassorbimento del sodio a livello renale ed una aumento dell'assorbimento di acqua con aumento della massa ematica circolante e quindi ipertensione. In genere può essere sospettato se agli esami di laboratorio si riscontra una diminuzione di potassio ed un aumento di sodio.
Il feocromocitoma è tumore delle ghiandole surrenali. Tale tumore aumenta la produzione di adrenalina da parte delle ghiandole stesse. In genere si cerificano crisi ipertensive con tachicardia, sudorazione vampate di calore e tremori.
Quando non vi sono queste crisi la pressione arteriosa può anche essere normale.
Il trattamento di solito è chirurgico con asportazione del tumore.

La forma di ipertensione arteriosa vascolare più frequente è qualla data dalla coartazione aortica cioè un restringimento con ostacolo al flusso sanguigno. Generalmente si tratta di soggetti giovani che presentano cefalea, pulsazioni al collo, soffi. Caratteristica di solito è l'aumento della pressione a livello delle braccia mentre è normale o bassa a livello delle gambe. Nel caso di sospetto di coartazione aortica occorre praticare un EcoDoppler, TAC, Risonanza Magnatica, Angiografia. Il trattamento è chirurgico.

In conclusione possiamo dire che in caso di ipertensione arteriosa vanno sempre escluse possibili cause. Solo così si può parlare di ipertensione essenziale che richiede solo un tratamento con farmaci. Di solito bastano semplici esami di laboratorio per escludere altre possibili patologie responsabili dell'ipertensione.
In presenza di un soggetto giovane con ipertensione è opportuno approfondire gli accertamenti poichè nella maggior parte dei casi i giovani possono essere affetti da forme di ipertensione secondaria.

domenica 21 dicembre 2008

Ipertensione Arteriosa (1°)

Con il termine di ipertensione arteriosa si intende un aumento della pressione arteriosa che rappresenta la forza con cui circola il sangue.
Essa è legata alla spinta che il sangue riceve dal cuore. Si distingue una pressione massima o sistolica che è la pressione sanguigna nel momento della sistole cardiaca cioè quando il cuore spinge il sangue nelle arterie, ed una pressione minima o diastolica che rappresenta la pressione del sangue nel momento della diastole cardiaca cioè quando il cuore si riempie di sangue e non effettua nessuna spinta.
La pressione arteriosa tende a variare con l'età, nel corso della giornata e può aumentare in caso di sollecitazioni fisiche ed emotive.

Generalmente si considera normale una pressione arteriosa con valori inferiori a 140/90. Si parla di ipertensione lieve per valori compresi tra 140-159/90-99, di ipertensione moderata con valori tra 160-179/100-109 ed ipertensione grave per valori superiori a 180/110.
Occorre considerare che anche il solo aumento della pressione minima configura un quadro di ipertensione.
Già in presenza di valori della pressione minima tra 85-110 si parla di ipertensione leggera e grave quando la minima supera i 110 mmHg.

L'ipertensione arteriosa viene distinta in due categorie:
l'ipertensione arteriosa essenziale e l'ipertensione arteriosa secondaria.

Qundo vi sono malattie specifiche responsabili degli aumenti pressori si parla di ipertensione secondaria. In tutti i casi in cui non è possibile identificare la causa dell'ipertensione si parla di ipertensione essenziale.
Le cause dell'ipertensione secondaria saranno affrontate in un successivo articolo.

Generalmente l'ipertensione non da sintomi. In caso di valori elevati possono però comparire cefalea, ronzii alle orecchie, vertigini, perdita di sangue dal naso.

Sarebbe comunque buona regola controllare la pressione arteriosa periodicamente poichè potrebbe instaurarsi un'ipertensione senza che il soggetto abbia problemi.

E' opportuno considerare che nel sospetto di un'ipertensione arteriosa una prima misurazione va effettuata in condizioni idonee. Il soggetto deve stare rilassato e tranquillo. Sarebbe utile misurare la pressione in posizione seduta e in piedi ed inoltre effettuare almeno tre misurazioni a distanza di qualche minuto l'uno dall'altra. Potrebbe anche essere utile misurare la pressione a livello di entrambe le braccia.
In caso di dubbio si può effettuare una misurazione continua della pressione arteriosa per 24-48 ore mediante apparacchi tascabili (Holter pressorio) che danno un'informazione precisa sull'andamento della pressione arteriosa nel corso della giornata e in associazione con le diverse attività dell'individuo.

Le complicanze dell'ipertensione arteriosa sono molto serie poichè può causare grave danni ad organi vitali: cuore, cervello, retina, reni, vasi arteriosi.
Il cuore può andare incontro ad ipertrofia cioè aumenta la massa cardiaca con aumento del rischio di ischemia. Si possono verificare alterazioni del ritmo, dolori al petto (espressioni transitora riduzione del flusso di sangue al cuore stesso) sino a giungere ad una condizione di insufficienza cardiaca.
Le alterazioni cerebrali sono legate al danno della circolazione encefalica che può manifestarsi con quadri acuti come l'ictus o una lenta perdita di alcune funzioni come la memoria, l'attenzione, l'orientamento temporo-spaziale.
I danni retinici sono ovuti ad un progressivo restringimento arteriolare con aree ischemiche e progressiva diminuzione della vista.
Sul rene l'ipertensione arteriosa provoca una progressiva diminuzione della funzionalità fino all'insufficienza renale.
A carico delle arterie di un soggetto iperteso si determinano nel tempo aterosclerosi e microaneurismi.

Una volta accertata l'ipertensione arteriosa è opportuno anche effettuara degli esami di laboratorio per poter escludere un'ipertensione secondaria cioè legata ad altre malattie.

Esami di laboratorio essenziali o raccomandati
  • Creatininemia: da preferirsi all’azotemia per valutare la funzione renale.
  • Potassiemia: l’ipopotassemia fa sospettare un’ipertensione da mineralcorticoidi (ormoni che regolano l'equilibrio idro-elettrolitico), e permette di valutare gli effetti della terapia diuretica. L’iperpotassiemia è indice di insufficienza renale.
  • Glicemia: a digiuno (ed eventualmente due ore dopo il pasto); segnala il fattore di rischio diabete.
  • Colesterolemia: un’ipercolesterolemia segnala un altro importante fattore di rischio cardiovascolare.
  • Emoglobina: l’anemia può essere indice di insufficienza renale.
  • Ematocrito: suggerisce variazioni del volume plasmatico.
  • Elettrocardiogramma: criteri di ipertrofia e sovraccarico ventricolare sinistro, ipertrofia atriale sinistra; infarto miocardico ed angina pectoris.
  • Radiogramma del torace: profilo cardiaco, dimensioni dell’aorta.
Escluse altre possibili cause si parla quindi di ipertensione arteriosa essenziale. I farmaci utilizzati appartengono a diverse classi che comprendono:
  • I diuretici che aumentano la diuresi e riducono quindi il contenuto liquido nei vasi
  • I beta-bloccanti che agiscono diminuendo la freuenza cardiaca e la forza di contrazione del cuore
  • I calcioantagonisti che determinano vasodilatazione
  • Gli ace-inibitori che intervengono sui meccanismi renali della regolazione della pressione arteriosa
  • Gli alfa-bloccanti che producono vasodilatazione
Questi in genere sono i farmaci più utilizzati. Si comincia con un solo farmaco e se è necessario si aggiungono altri.
In associazione alla terapia farmacologica può essere d’aiuto un trattamento non farmacologico che può rappresentare l’unico provvedimento necessario a normalizzare i valori pressori nei soggetti con ipertensione lieve (pressione diastolica ripetutamente tra 90 e 95 mmHg).
  • Riduzione del peso corporeo: nei soggetti in sovrappeso.
  • Modificazione della dieta: riduzione del sale, dieta ricca di olio di pesce, incremento dietetico del rapporto grassi polinsaturi/saturi.
  • Abolizione di alcool e fumo.
  • Esercizio fisico regolare.